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14/05/2018
Il tema brand protection sui motori di ricerca è da sempre una delle questioni più discusse nel settore dell'advertising turistico.
Le grandi OTA (Booking, Expedia) investono quotidianamente migliaia e migliaia di euro sulle keyword brand degli hotel per intercettare utenti che sono fortemente interessati a finalizzare l'acquisto di una camera proprio di quella struttura.
In questo modo le OTA riescono a convertire facilmente gli utenti facendoli diventare clienti e togliendo traffico e prenotazioni dirette al sito ufficiale della struttura.
Come riuscire a competere con questi mostri sacri? La risposta è facilissima dal punto di vista tecnico ma difficilissima da far comprendere a proprietari e gestori di strutture: bisogna pagare Google Adwords e Bing per proteggere il proprio brand!
Queste alcune delle domande più ricorrenti: “Ma come, pago per apparire con il nome del MIO hotel?” “Vabbè ma tanto già ci sono le OTA che mi portano prenotazioni perché dovrei pagare per fare pubblicità con il nome della MIA struttura?”
A tutte le domande si può rispondere con un'altra domanda: “Meglio spendere tra i 10 e i 20 centesimi per un clic di un utente che sta cercando proprio la nostra struttura o riconoscere tra il 10 e il 20% dell'intera prenotazione a un OTA o un Metasearch che si è semplicemente limitata a proporre la nostra camera a un utente che voleva soggiornare presso di noi?”
La risposta è così facile da essere così scontata.”
In tema di web marketing turistico un'azienda si chiede inoltre perché dovrebbe utilizzare i social visto che non sono canali di vendita diretta.
Molti clienti pensano che presidiare i diversi social networks significhi replicare la comunicazione del proprio sito aziendale con tanto di post strillati, come farebbe un venditore di tappeti al mercato per farsi notare da una clientela distratta e di passaggio. Niente di più sbagliato.
L'errore più comune è ignorare l'aggettivo che precede la parola network e che rappresenta l'anima di tutte le piattaforme come Facebook, Twitter, Instagram ovvero il termine social/sociale. Parliamo, infatti, di comunità, anche se virtuali, di relazioni dalle maglie più o meno larghe abitate però da persone in carne e ossa. Persone come me, come voi, che scelgono di stare sui social per informarsi, condividere, sentirsi coinvolti emotivamente e cognitivamente. La pubblicità, soprattutto, quando urlata, invadente viene percepita come un disturbo e conseguentemente viene ignorata. Scrolliamo la home feed più rapidamente di quando facevamo zapping con il telecomando.
Per questo i consulenti dicono ai propri clienti che per essere ascoltati sui social è necessario costruire un dialogo con la propria community, usando un tone of voice amichevole, ma autorevole (è importante sappiano che su quel determinato settore siete affidabili), essere attenti ai gusti e agli interessi delle persone che si vogliono coinvolgere attraverso contenuti di qualità, utili, spendibili, condivisibili a prescindere dal brand.
I social non sono dei dépliant, ma piazze che abitiamo quotidianamente con il nostro vissuto. Solo se siamo consapevoli di ciò, possiamo sfruttarli come strumenti di marketing, altrimenti è meglio non aprirli affatto.